Temporary Blog
Oggi parliamo di un concetto lontano dal fascino teorico irresistibile “Brand activism”.
Da svariati mesi oramai vediamo sempre più “scrivanie manageriali” impreziosite dall’ultimo libro di Philip Kotler “Brand Activism. Dal purpose all'azione.”
Sicuramente l’impatto scenico del volume appollaiato tra le mensole o sui piani di lavoro è notevole e a ben d’onde! D’altronde il libro tratta un argomento davvero alto: il brand activism, per l’appunto.
Ma cos’è il brand activism? Per comodità, ci rivolgiamo a Wikipedia che, attraverso un suo anonimo Wikipedista cita: “Il brand activism è un modello di business nel quale il perseguimento degli obiettivi economici è correlato o subordinato all’impegno dell’impresa in cause di rilevanza sociale, politica e ambientale. In questa prospettiva, l’azienda e la marca non operano solamente come attori del mercato ma, grazie al ruolo attivo assunto in iniziative volte a favorire il bene comune, come promotori dei processi di cambiamento che le più impellenti problematiche del nostro tempo richiedono.”
Praticamente un libro visionario dove l’imprenditore (o il manager) viene stimolato a un vero e proprio cambio di prospettiva aziendale: non sono più gli affari a muovere il suo business, ma la ricerca della soddisfazione di cause sociali, politiche o ambientali.
Un po’ come dire: “tu (imprenditore – nda) pensa con tutti i tuoi mezzi a soddisfare tematiche fondamentali e socialmente rilevanti e vedrai che il business, il fatturato, verrà di conseguenza”.
Di’ la verità, anche a te il concetto appare, quanto meno, sfidante, vero? Eppure, questo libro campeggia in biblioteche e librerie aziendali facendo bella mostra di tutto il suo prezioso, eventuale contributo alle sorti dell’imprenditoria.
È vero, non è il primo libro a ricevere il ruolo di “parcheggiato speciale”, molti libri di Kotler o Druker riposano indisturbati su molti arredi aziendali, ma questo libro ci ha davvero colpito perché non si tratta della divulgazione di teorie strategiche per l’implementazione del business, ma di una vera rivoluzione di assetti aziendali.
Ora, mettendo da parte il nostro stupore, ci verrebbe da dire che “ben vengano queste letture”, se solo venissero lette, ma soprattutto, applicate.
E qui casca l’asino.
Perché in alcuni nostri sopralluoghi, in alcune realtà aziendali visitate l’ultimo libro di Kotler c’entra davvero come i famosi cavoli a merenda.
Aziende dove ancora l’impressione di questo o quel manager influenzano le sorti di una risorsa, aziende dove il passaparola (maldicenze) negativo funziona meglio di qualsiasi cruscotto di controllo del personale mal si conciliano con il rinnovato spirito di impegno social predicato dall’autore di Brand Activism.
E allora?
Allora, come al solito, ci rifacciamo al caro, vecchio buon senso, applicato alle dinamiche aziendali, soprattutto quelle che coinvolgono le risorse umane.
Come?
Ora volete sapere troppo, specialmente perché siamo alla fine di questo articolo blog.
Quindi vi toccherà aspettare la settimana prossima quando vi parleremo di Buon Sensing* VS Brand Activism.
*Neologismo creato da noi, per il quale chiediamo scusa a Kotler, l’Accademia della Crusca e l’intera lingua italiana.